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PROLOGO
Ottobre 1874. Da qualche parte nei pressi di Ravenna.
Il pittore osservò attentamente il suo dipinto.
Aveva ritratto quel bosco scelto dopo una lunga ricerca, il lavoro lo soddisfaceva, era riuscito a fissare con i colori quell'atmosfera di quiete che quel luogo trasmetteva. Ai duchi sarebbe piaciuto.
Lucio Decorelli pittore in ascesa, aveva avuto la fortuna di incontrare i duchi de Ortis che gli si erano proposti come suoi mecenati. Si apprestava a terminare il primo dei quattro dipinti commissionati. Realizzò quel quadro rifacendosi allo stile del momento: l'impressionismo, rivisitandolo in chiave personale.
Mise il pennello tra i denti e guardò nuovamente lo scorcio di bosco e il dipinto, liberò il pennello dalla stretta dei denti e con un movimento circolare ripassò la parte bassa della tela. Si ritenne soddisfatto. Il sole era quasi del tutto tramontato e si stava facendo buio, l'aria si era fatta fredda, i polpastrelli gli dolevano e gli abiti leggeri gli pungevano sulla pelle, anche la ferita sul petto iniziava a dolergli ricordandogli di essere stato ad un passo dalla morte. Adesso era al sicuro, sia lui che la sua famiglia. Doveva sbrigarsi; la città era parecchio distante da lì. Era venuto il momento di firmare l'opera. Girò la tela facendo attenzione a non toccarla con le mani nude e con un pennino di getto vergò alcuni versi concludendo con le sue nuove iniziali. Un tempo aveva un altro nome e un'altra vita.
Di fretta tolse il dipinto dal cavalletto che rovinò a terra con un tonfo facendo volare tre uccellini che beccavano là intorno.
Delicatamente poggiò la tela tra i rami di un albero, raccolse i colori e i pennelli sparsi un po' dappertutto e li ripose alla rinfusa in una valigetta di legno. Chiuse il cavalletto lottandoci, lo legò con una cordicella, lo caricò su una spalla e prese la valigetta con la mano libera.
Con cura recuperò la tela prendendola in modo da non intaccare i colori ancora freschi, si lasciò alle spalle il bosco avviandosi verso casa pensando al nome dell'opera. Rifletté sul dipinto e su se stesso. In quella tela e quelle parole aveva riversato i suoi sentimenti: paura, speranza e il conflitto interiore con l'attrazione verso la duchessa, tanto inquietante quanto affascinante. Desiderava che quel momento non finisse mai. In quel bosco aveva trovato una zona franca dove rifuggire dal peso delle sue responsabilità e dal pericolo costante in cui viveva, avrebbe voluto che durasse per sempre... in eterno... si augurava che quello fosse un:
"ETERNO AUTUNNO".
*****
CAPITOLO I
Vienna, giovedì 10 Maggio 1984.
Dipartimento del Ministero Federale dell'educazione, arte e cultura. Ufficio del direttore.
Il dipinto campeggiava al centro della parete più grande della stanza. Da un lucernario un pallido raggio di sole illuminava il centro della figura accentuando il contrasto tra luci ed ombre.
Il telefono squillò ripetutamente: una mano rugosa parzialmente coperta da una peluria bianca sollevò stancamente la cornetta: l'uomo attaccato a quella mano riconobbe all'istante il suo interlocutore; la chiamata proveniva dall'estero, dall'Italia. Al sentire il suono familiare di quella voce e quella particolare pronuncia in tedesco si toccò istintivamente la peculiare spilla appuntata all'occhiello del bavero della giacca.
Cercando di alzare il tono della fievole voce esordì anticipandolo: «Se mi hai chiamato vuol dire che lo rivuoi. Giusto?» La persona dall'altra parte del telefono rise di gusto: «sei ineccepibile vecchio Franz! Sì è per quello che ti chiamo. Voglio sapere in che condizioni è».
L'uomo infastidito rispose: «Accidenti August! Da quanti anni ci conosciamo? Trenta? No di più! Ti prendevo in braccio da bambino! Tuo padre per me era come un fratello! Possibile che non ti fidi di me e del mio operato? L'Ordine lo fa ancora oggi che sono un vecchio incartapecorito! So che valore ha quel dipinto! Da quando è stato sequestrato a tuo padre ho smosso mari e monti per farmelo portare qui, è davanti a me ogni giorno, da anni ormai. E' perfettamente integro.
Dal giorno in cui mi fu consegnato non l'ho neanche più toccato! Non lo so, quella volta che è successo mi ha lasciato una strana sensazione addosso, inquietante, tutt'ora non riesco a spiegarla...». Venne interrotto bruscamente: «Meglio così! Non capisco perché metterci le mani sopra, volete proprio rovinarlo? Quell'effetto strano al tatto deve essere dovuto al composto “Alfa” che ha usato mio padre sul retro di quelle tele per mettere al sicuro alcuni segreti dell'Ordine. Sì, ho detto tele perché lo ha usato anche sugli altri tre. Un giorno decritterò tutto.
Le due sue allieve migliori sono al mio sevizio: hanno le giuste
conoscenze per fare il lavoro, ma a questa cosa ci arriveremo con calma». Dopo qualche secondo di silenzio il direttore domandò: «Quindi come hai intenzione di agire? Farai una richiesta ufficiale? Devo avviare le operazioni con i miei contatti?» Severamente dall'altra parte del filo: «No! Devi stare al tuo posto! Lascia che ti spieghi: sai che sto aprendo anche qui a Torino una pinacoteca, voglio che il quadro sia il pezzo forte della collezione; dobbiamo imbastire una storia accattivante attorno ad esso, l'opinione pubblica deve percepirne l'importanza. Il suo ritorno in Italia dovrà essere un evento epocale! Per i più quel dipinto neanche esiste, così come il suo autore. Dovranno avere la percezione di poter osservare qualcosa di unico. Sarà qualcun altro che si occuperà del suo “ritrovamento”. Ho bisogno di ingigantire la mia figura in città, mettendo in bella mostra le mie capacità, ho selezionato un paio di soggetti interessanti per la mia pinacoteca, mi faranno fare un'ottima figura.
Alla fine convincerò il partito a scegliermi come candidato sindaco con questa ed altre operazioni che ho messo in moto. Non potranno rifiutare la mia candidatura. Tu comunque tieniti pronto; quando ti avviserò dovrai intervenire.
Adesso devo salutarti mio caro, ho una riunione di partito: sarà decisiva per la mia investitura, l'altro candidato è un pallone gonfiato. Nel caso non vada come previsto so già come mettere a posto le cose». Il direttore si passò una mano tra i radi capelli bianchi e soffiando dalle narici disse: «Allora, buona fortuna barone Riddler! Che la Perla ti illumini! Quando hai bisogno di me sai dove trovarmi, alla prossima». «Alla prossima Franz e grazie».
Il barone August Riddler salutò riagganciando con un sorriso dal taglio sinistro. L'uomo si alzò con una certa fatica dalla sedia della sua scrivania, a passi lenti attraversò l'austero ufficio e raggiunse il dipinto: lo osservò forse per la miliardesima volta cercando di capire cosa ci fosse dietro quel quadro. Franz Berg era membro dell'Ordine fin da ragazzino, aveva lavorato per il nonno e il padre di August, sapeva molto dell'Ordine ma di quel quadro che custodiva da anni non ne conosceva i segreti. Non si crucciò più di tanto, era vecchio ormai, avrebbe eseguito gli ordini come sempre aveva fatto. Guardò l'orologio a pendolo alla sinistra della sua scrivania, era ora di tornare a casa per il pranzo, chiuse le imposte, uscì dall'ufficio tirandosi delicatamente la porta alle spalle.
Dal lucernario la luce del pallido sole colpì ancora il quadro, i colori brillarono facendo sembrare la scena reale. Nessuno lo potette vedere.
Torino, località Bosco Nero, Villa Riddler nello stesso momento.
Il barone si stirò sulla poltrona, aprì uno dei cassetti della scrivania. Estrasse un portasigari dorato con un drago inciso sul coperchio e ne tirò fuori uno, lo accese con cura con lo Zippo che portava incise le sue iniziali. Riprese il telefono, compose un numero ancora più lungo di quello di prima; un paio di centralini condussero la chiamata al numero richiesto: un ufficio ricavato in un container posto in una zona periferica di Rangoon, in Birmania. La linea venne agganciata, il barone rispose con voce squillante ad un bofonchiato: «Pronto?» «Capitano! Su con la vita! Stai per tornare, non sei contento?» L'interlocutore rinvenne al suono di quella voce: «Salve barone! Finalmente si fa sentire! Temevo si fosse dimenticato del suo fedele Ezio Prato!»
Il barone sorrise, «io che mi dimentico di te? Quante volte ci siamo salvati la vita a vicenda in quell'inferno noi due? Non essere ridicolo Ezio!
Sai che sono tremendamente indaffarato in questi giorni. Aggiornami, come ve la passate tu e Golubev?».
Ezio Prato, giocherellando con un piccolo ventilatore da tavolo, rispose: «Io qua, nonostante il caldo e l'umidità insopportabile non male, qualche ragazzina per divertirmi la sera non manca, non ho incarichi operativi e in questa trappola di metallo che chiamano sede legale le giornate non passano. Comunque sempre meglio che ad Ivan; il conflitto diventa giorno dopo giorno più violento, al momento non saprei dirle chi la spunterà, si punta tutto sul prossimo carico.
Quel materiale sarà come una manna dal cielo per i ribelli!
Dopo di ché prevedo che il conflitto andrà secondo i piani dell'Ordine, quel rimbambito di generale ha i giorni contati, se ne faccia una ragione lui e tutti i suoi lacchè». «Perfetto, i nostri all'interno del governo daranno la spallata finale. Questa volta però Golubev dovrà stare attento più del solito, sta per arrivare l'ingrediente “H” in una quantità mai mossa prima, ho rischiato parecchio, ci hanno fatto credito questa volta e i clienti hanno pagato in anticipo, quel carico deve arrivare a destinazione!»
Rispose il barone, facendosi più serio, Prato invece con tono
rassicurante disse: «Ivan Golubev è il migliore, dopo di me ovviamente, possiede le competenze giuste per portare a termine la missione, non c'è di che preoccuparsi.
A proposito, la questione della candidatura come procede?». Riddler tolse il sigaro dalla bocca e lo incastrò tra due dita della grossa mano, «Quel Callisto Bianco è una spina nel fianco. Questa sera lo abbatterò una volta per tutte, accidenti a lui! Prima ha caldeggiato la mia candidatura, poi chissà come si è messo in testa di mettersi in proprio trovando appoggi nel partito, un po' mi fa pena, non sa a cosa va in contro. Adesso che ricordo, ho fatto recapitare un bel regalino a quei ragazzi, mi hanno assicurato che ne faranno buon uso, staremo a vedere se ne è valsa la pena addestrarli. Presto ci saranno molto utili, si sporcheranno le mani per noi. Tieniti pronto, qualche giorno ancora e mi servirai qui, dobbiamo partire con la pinacoteca, anche là ho buttato giù un sacco di soldi.
L'Ordine è paziente con il suo reggente, ma certo non posso permettermi di prosciugarne i conti.
Comunque, se disgraziatamente le cose dovessero andare male so come sistemarle. Ci sentiamo Ezio, in guardia mi raccomando! Che la Perla ti illumini». Prato lasciando in pace il piccolo ventilatore rispose: «Lei non fallirà, non lo ha mai fatto! Arrivederci barone». Riattaccò, si pulì con una salvietta il viso grondante di sudore ed uscì dal container emettendo tonfi sordi ad ogni passo, osservò il cielo rossastro che volgeva al tramonto.

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